Galàpagos, il paradiso perduto

Le Galapagos fanno parte del mio immaginario fin da quando ero piccola. Qualcuno mi aveva regalato un mappamondo, che era subito diventato il mio passatempo preferito, sul quale sognavo di luoghi dai nomi esotici e misteriosi. Lì avevo scoperto queste strane isole, che mi affascinavano per il fatto di essere esattamente sulla linea dell’Equatore e sperdute in mezzo all’oceano Pacifico; alimentata da racconti di avventure di Topolino e dai libri di Jules Verne, l’idea che me n’ero fatta era di una specie di paradiso perduto dove vivevano i discendenti dei dinosauri. Ho scoperto pochi anni dopo che non mi ero sbagliata di molto e che in effetti sono uno dei luoghi al mondo che più assomigliano agli scenari della preistoria.

Appena ho avuto la possibilità di viaggiare sono corsa a visitarle. Di quella prima spedizione il ricordo più vivo è quello degli spettacolari crateri vulcanici dell’isola di Isabela, con le colate di lava, le fumarole e l’odore di zolfo che impregnava l’aria: uno scenario infernale ma dal fascino straordinario.

Ricominciai a pensare alle Galapagos molti anni dopo, quando scoprii che erano considerate uno dei posti più ambiti dai subacquei per varietà e quantità di pesce. Questa volta però ho tergiversato un bel po’ prima di partire, spaventata dal ricordo di acque gelide e dai racconti di correnti mostruose.

In effetti, una vacanza subacquea alle Galapagos non è una passeggiata. Tralasciando la fatica di un viaggio lunghissimo e di sette ore di fuso orario, la navigazione è raramente tranquilla, il clima per la maggior parte dell’anno non è come ci si immagina dovrebbe essere l’Equatore ed effettivamente le immersioni sono impegnative per temperatura e correnti. Per chi però ama i grandi incontri,  non ci sono molti altri posti paragonabili al mondo e valgono tutti i sacrifici che richiedono.

La crociera comincia in un modo che ci lascia tutti perplessi: check dive a sei metri, visibilità un metro. È vero, i leoni marini vengono a curiosare, ma sono talmente veloci che ci compaiono davanti improvvisamente, anche un po’ spaventandoci, e altrettanto rapidamente spariscono. Le guide sono divertite dalle nostre facce dubbiose, sapendo cosa ci aspetta. Quando, dopo dodici ore di viaggio, ci tuffiamo nelle più tiepide e trasparenti acque dell’isola di Wolf, quasi non crediamo ai nostri occhi. Ancorati agli scogli a neanche venti metri di profondità, veniamo circondati da branchi giganteschi di squali martello: centinaia di esemplari, molti dei quali si avvicinano curiosi.  A fatica ci accorgiamo di tutto il resto: tonni, carangidi, enormi murene, tartarughe; quando però ci stacchiamo dalle rocce e ci lasciamo trasportare dalla corrente, l’incontro con le grandi, eleganti aquile di mare ci emoziona quasi allo stesso modo.

Arriviamo all’isola di Darwin il giorno dopo, carichi di speranze per la possibilità di quello che tutti consideriamo l’Incontro per eccellenza. Darwin è poco più di uno scoglio di un chilometro quadrato, totalmente brullo e anonimo se non per l’imponente arco roccioso che la precede e che è il suo marchio di identità, sotto il quale faremo alcuni fra i tuffi più esaltanti della nostra carriera di subacquei.

Di nuovo siamo aggrappati al fondale ad ammirare i martello, che qui non si direbbero minacciati di estinzione come in realtà sono, finché improvvisamente diventa tutto più buio: alziamo gli occhi e vediamo l’inconfondibile sagoma dello squalo balena, enorme sopra di noi. È difficile descrivere le emozioni che provoca la vista di questi giganti del mare, che pinneggiano pacificamente senza scomporsi all’arrivo di un’orda di sgraziati animali produttori di bolle. Restituisce al nostro ego il senso delle proporzioni, ci trasforma da dominatori dell’universo, quali troppo spesso ci sentiamo, a piccole creature indifese; a me affascina la grazia con la quale muovono il loro corpo enorme apparentemente senza sforzo, in armonia perfetta con l’elemento in cui vivono. In ogni immersione ne incontriamo almeno tre o quattro, distinguendoli a volte solo dal numero di remore che trasportano con sé. Tutte femmine gravide, che seguendo il plancton trascorrono a Darwin il periodo della gestazione, per poi andare a partorire non si sa bene dove.

Trascorriamo a Darwin due giorni memorabili; siamo tutti tristi quando dobbiamo ripartire, pur sapendo che ci aspetta qualche altro splendido tuffo a Wolf. Lì vivremo l’esperienza più adrenalinica della crociera, circondati da massicci squali Galapagos sempre più vicini e curiosi.

Sulla via del ritorno, una giornata surreale nelle gelide, verdi, lattiginose acque dell’isola Isabela. Un fondale completamente diverso, lussureggiante di gorgonie e piante acquatiche, dove ci aspettano branchi di buffi pesci luna, cavallucci marini, nudibranchi ipertrofici e il grazioso “redlips…..”. Vengono a salutarci prima della partenza gli ultimi leoni marini e riusciamo a vedere anche l’endemico cormorano che non vola, ma che in compenso si muove sott’acqua come un pesce, ulteriore esempio degli strani esperimenti che l’evoluzione ha fatto da queste parti.

Il bilancio del viaggio è esaltante.

Avessi potuto chiedere qualcosa di più, avrei voluto un po’ di sole. Mi hanno detto che i primi mesi dell’anno sono quelli in cui il mare è calmo e il cielo sereno. Non ci sono tanti squali martello e tanto meno i balena, ma è la stagione delle mante.

Se mi fosse mancata, ecco qui la scusa perfetta per ritornare in questo paradiso perduto.